Pesca

Fino alla metà del ‘900 il Corallo del Mediterraneo veniva pescato con barche munite di un attrezzo particolare chiamato ingegno.
Si tratta di due assi di legno disposti a croce, da cui pendono grappoli di reti. L’ingegno veniva calato in mare dalla barca, chiamata appunto corallina, e trascinato sul fondo. Nel movimento della barca, i rami di corallo restavano impigliati alle reti e strappati via dagli scogli. Oggi questa pesca non viene più praticata ed è stata sostituita dalla pesca fatta da sub, con grande sollievo di quanti – noi corallari in primis – hanno caro che l’habitat naturale del mare resti integro e ben protetto.

La pesca fatta dai sub è sicuramente più selettiva in quanto il pescatore, una volta individuato lo scoglio sul quale è presente il corallo, è in grado di raccogliere solo i rami più grandi, conservando i più piccoli per gli anni a venire.
Del resto, di quelli piccoli non saprebbe cosa farsene in quanto non vengono utilizzati, se non in minima parte, nella lavorazione. Esiste, naturalmente, l’altra faccia della medaglia: il mestiere di sub è indubbiamente pericoloso.
Ai 15/20 minuti di pesca sul fondo corrispondono 3/4 ore da passare in ammollo per la decompressione. Il che significa otto ore in mare per ottenere mezz’ora di pesca.
A questo si aggiunga che il corallo comincia a scarseggiare nelle aree in cui era tradizionalmente presente. Un sub per fare una raccolta decente deve scendere, in tali zone, ad oltre 100 metri!
E quanto gli costa tutto ciò? Per fortuna dei sub, degli operatori e trasformatori del corallo oggi si sta pescando dell’ottimo corallo rosso in MaroccoTunisiaAlgeria, aree ricchissime di corallo. Questo nuovo corallo sta calmierando i prezzi del grezzo e sta – di fatto realizzando una “pace ecologica” laddove vi era stato un ipersfruttamento delle risorse marine.

In Giappone il corallo presenta, invece, problematiche completamente differenti. Intanto, si pesca in oceano, a profondità maggiori che nel Mediterraneo. Le acque dell’Oceano sono infide, pericolose, battute da tifoni in un paio di periodi dell’anno. Vanno affrontate, queste acque, con barche ben più grandi e robuste delle coralline.
Sono navi vere e proprie da oceano, quelle con cui Giapponesi e Cinesi vanno a pesca di corallo. Al posto dell’ingegno, usano calare in acqua dei grossi sassi tondi, attaccati ad una corda, da cui pendono grappoli di reti e legacci in ordine sparso. Sono queste reti che – trascinate sul fondo – strappano via il corallo dagli scogli.

Ma, al giorno d’oggi, anche in Giappone si sta sostituendo questo tipo di pesca con un’altra, praticata attraverso sottomarini e robots guidati dall’alto.
L’uso di mezzi così potenti e costosi è giustificato dal fatto che i rami di corallo Giapponese sono molto più grandi (e quindi di maggior valore) dei piccoli rami del Mediterraneo. Per cui si giustifica, data la resa maggiore, l’uso di questi costosissimi mezzi.